Molto spesso la domanda che ci poniamo, nei momenti di noia o quando finalmente ci prendiamo una pausa, è quale serie tv guardare.

Ma gli interrogativi non finiscono qui.
Una volta guardate tutte le puntate, di tutte le stagioni, rigorosamente in lingua originale (per mettere a tacere i sensi di colpa, convincendoci che stiamo migliorando il nostro inglese), la domanda successiva  è: E ADESSO COSA INIZIO?
Con un lieve sentore di panico che trasuda dai nostri pensieri.

Se prima le domande erano simili a:

“Quando esce il prossimo libro della Rowling?” “Hai letto la trilogia di Tolkien?”

Adesso  l’inclinazione sembra aver preso una direzione diversa:

“Hai visto la nuova stagione della Casa di carta? “

“Se prendessimo Netflix in quattro, poi ognuno di noi lo dividesse per fratelli, sorelle, prozie e procioni, moltiplicassimo la somma per la differenza per la percentuale di scambio, pagheremmo meno no?”

Ma perché siamo così inclini a rifugiarci all’interno di una serie tv?
Perché giustifichiamo o ci inca**iamo quando un personaggio non fa quello che ci aspettiamo da lui?

Non è un segreto che ormai le serie tv sono entrate a far parte delle nostre vite in maniera più o meno regolare, al pari di un qualsiasi membro della famiglia.
Io per prima mi sento molto legata ad alcuni personaggi con i quali, almeno una volta a settimana, condivido esperienze, sogni o preoccupazioni.
Capita invece che con quel lontano cugino, che vedo una volta l’anno, mi trovo a condividere un singolo tovagliolo per raccogliere i canditi, sottratti con onorevole tenacia al panettone, ma con il quale non condivido nient’altro.
Tranne che, naturalmente, non abbiamo in comune una serie tv. A quel punto si innesca una conversazione ricca di aneddoti, suspense, commozione e ilarità che nemmeno stessimo parlando della prozia con il suo procione che manca sempre per Natale (ma che è ben contenta di dividere con noi le spese di Netflix).

Negli anni del dopo guerra, in seguito al boom economico, il ruolo dei canali televisivi ha avuto principalmente carattere statale. Lo scopo era puramente informativo e culturale, i programmi trasmessi fungevano da miccia per le conversazioni dell’intera popolazione e contribuivano a plasmare l’opinione pubblica.
Ciò che veniva trasmesso mirava a riavvicinare la comunità e a fornire intrattenimento a scopi pedagogici (niente di paragonabile a GF o L’Isola dei Famosi per intenderci). A partire dagli anni Ottanta però, con l’aumento del livello d’istruzione e dell’aspettativa di vita, il tempo libero ha assunto un ruolo preponderante, portando la struttura dei programmi televisivi a virare in direzione del cambiamento e della privatizzazione (Sollano, 2014).

Se questo è vero da una parte, dall’altra ci troviamo di fronte alla realtà che la televisione è creatrice di una cultura globale, specchio dell’identità nazionale e cardine dello sviluppo delle nuove generazioni (Weber, 2003).

Il tempo che trascorriamo davanti ai programmi televisivi è in costante aumento. L’avvento delle nuove piattaforme digitali rende ancora più semplice ed economica la fruizione di qualsiasi contenuto, in qualunque momento della giornata.

Ma guardare la tv ci rende davvero più felici?

In uno studio di Frey, pubblicato nel 2007, i dati mostrano come all’aumento delle ore trascorse davanti la tv corrisponde un proporzionale aumento di infelicità e ansia.

Perché allora siamo così attratti dalle serie tv?
Ci sono più possibili risposte a questo interrogativo: l’aumento del tempo libero, l’allontanamento sociale a favore di una socialità tecnologica, il soddisfacimento immediato della nostra volontà.
Ma soprattutto  il fatto che siamo noi a decidere con chi passare il nostro tempo.

Oggi ho voglia di ascoltare un medico narcisista e geniale?
Scelgo di guardare “Dottor House M.D.”.
Decido che non ne ho più voglia? Guardo una puntata di Game of Thrones.
Mi ha stancato anche questo? Scelgo qualcos’altro.

Nelle relazioni sociali questo non sempre succede. Non abbiamo il potere di mettere in pausa o di scegliere momento per momento ciò che più si modella al nostro desiderio. E finiamo per preferire personaggi fittizi con i quali ci identifichiamo e nei quali riponiamo il nostro tempo.

Derrick e Shira, (2009), hanno dimostrato come la gente che si sente sola riduca questa sensazione ricorrendo ai propri programmi preferiti, guardando personaggi ormai divenuti familiari e situazioni da cui si sa cosa aspettarsi.

In merito a quest’ultimo punto, infatti, vi è una costante negoziazione tra autori e spettatori, tra vita immaginaria e vita reale. Le storie messe in scena vengono plasmate intorno al gusto di chi ne fruisce. Grazie ai pilot e ai feedback, i “telespettautori” partecipano in prima persona alla trasformazione della narrazione televisiva facendola convergere nella direzione voluta dalla maggior parte del pubblico (Ebert, 2004).

Ed ecco che prende forma la risposta alla nostra domanda iniziale, quale serie tv guardare.
QUELLA CHE VOGLIAMO.
Nel senso più letterale e divagante che possiamo immaginare.
In questa scelta abbiamo il pieno potere di andare nella direzione che più ci soddisfa, di rifugiarci in una cittadina dell’Alabama o tra le braccia di un vampiro, di studiare medicina al Seattle Grey’s Hospital o di diventare Regina dei draghi.
E chissà, magari un episodio ci piacerà talmente tanto che ci verrà voglia di raccontarlo agli amici, magari davanti a una birra, magari togliendoci il pigiama e uscendo dalle grinfie del nostro comodissimo e seducentissimo divano.

BIBLIOGRAFIA

Shrum L. J., Robert S., Wyer, Jr., e Thomas C. O’Guinn (1988). The Effects of Television Consumption on Social Perceptions: The Use of Priming Procedures to Investigate

Psychological Processes, di, “The Journal of Consumer Research”, 24 (4), p. 447.

Shirky C. (2010). Surplus cognitivo. Creatività e generosità nell’era digitale. Torino

Frey B., Benesch C. e Stutzer A. (2007). Does Watching tv Make Us Happy?, “Journal of Economic Psychology”, 28 (3), pp. 283-313.

Derrick J. e Gabriel S. (2009). Social Surrogacy: How Favored Television Programs Provide the Experience of Belonging, “Journal of ExperimentalSocial Psychology”, 45 (2), pp. 352-362.

Cappi, V., & Manzoli, G. (2014). Lo scrittore collettivo. I meccanismi di feedback nella produzione delle fiction televisive e la relazione fra pratiche di scrittura e industria culturale contemporanea. Between, IV.8.

Sollano, A. (2014). Tutto il mondo vuole diventare milionario: l’adattamento dei format televisiviAnnales Neophilologiarum8, 141-153.

Weber I. (2003). Localizing the global: successful strategies for selling television programmes to China, in: Gazette, 65(3) p. 273-290, p. 274.